law e medicine lavoro di team

Con la sentenza n. 15723 del 17 maggio 2022 la Corte di Cassazione respinge il ricorso presentato da una paziente a cui era stata asportata parte del pancreas e del duodeno a fronte della diagnosi di una neoplasia maligna alla testa del pancreas, diagnosi rivelatasi poi errata. La paziente risultava invece affetta da tubercolosi pancreatica, patologia che, a detta della danneggiata, ben avrebbe potuto essere rilevata attraverso la cd. diagnosi differenziale, ossia coinvolgendo tutti i professionisti medici interessati (gastroenterologo, infettivologo, anatomopatologo e oncologo). La paziente lamentava quali conseguenze dannose subite lo sviluppo di una “dumping syndrome”, caratterizzata da magrezza, turbe dell’alimentazione e di tutte le fasi della digestione.

Nel caso concreto il tema della rilevanza della diagnosi differenziale assumeva due diverse sfumature. La prima, in ordine alla negligenza che avrebbe caratterizzato la fase di diagnosi della patologia che affliggeva la paziente e in merito alla quale in Consulente Tecnico d’Ufficio non si sarebbe pronunciato. A detta dell’attrice l’esecuzione di una diagnosi differenziale avrebbe orientato i medici a una condotta più prudente e quindi a evitare l’intervento in attesa di esami clinici che avrebbero consentito di individuare correttamente lo stato clinico della paziente. Sul punto però la Cassazione dichiara di non poter entrare nel merito della questione, tacciando il motivo di ricorso di inammissibilità. In primis, in quanto il ricorso non chiariva in quale momento storico si fosse tenuta la consulenza tecnica d’ufficio che aveva escluso l’onere a carico dei medici di ricorrere a tale forma diagnostica (e solo da un certo momento storico le norme di procedura civile hanno canonizzato il principio del contraddittorio nella fase della consulenza). In secondo luogo, il motivo di doglianza si concretava nella richiesta di un riesame nel merito della condotta del personale sanitario, processualmente non ammissibile avanti la Corte di legittimità. Ma la possibilità di una diagnosi differenziale veniva prospettata dalla paziente anche quale oggetto dell’informativa che il personale sanitario avrebbe dovuto rendere prima dell’intervento e l’attrice, quindi, formulava una richiesta risarcitoria anche per violazione della normativa in tema di consenso informato in ambito medico. Sennonché, a detta della Corte di Cassazione, la domanda risarcitoria era stata mal formulata.

Sul punto premettono gli Ermellini che “l’inadempimento dell’obbligo di acquisire il consenso informato del paziente assume diversa rilevanza causale a seconda che sia dedotta la violazione del diritto all’autodeterminazione o la lesione del diritto alla salute”, e successivamente chiariscono che “anche qualora venga dedotta la violazione del diritto all’autodeterminazione è indispensabile allegare specificamente quali altri pregiudizi, diversi dal danno alla salute eventualmente derivato, il danneggiato abbia subito, dovendosi negare un danno in re ipsa”. Conformi, sul punto, Cass. Civ., 4 novembre 2020, n. 24471 e Cass. Civ., 11 novembre 2019, n. 28985. Poiché però l’attrice aveva dedotto quali danni conseguenza dell’errore medico quelli costituiti da “stato ansioso, facile irritabilità, logorrea, stato di diffidenza, iposonnia, idee ricorrenti con fobia relazioni familiari compromesse e pensieri ricorrenti del suo vissuto clinico”, ossia situazioni rilevanti sempre sul piano del benessere psico-fisico della paziente, essi avrebbero comportato una lesione del diritto alla salute della paziente e non di quello all’autodeterminazione della medesima.

La domanda, quindi, non poteva essere accolta perché a fronte dell’asserita violazione di un diritto si erano chiesti danni risarcibili a fronte della violazione di un altro diritto, non adeguatamente valorizzato come titolo di domanda. Resta da chiedersi, quindi, da un lato, se in assenza di errori processuali o di normative di rito più favorevoli per l’asserito danneggiante, la Corte avrebbe effettivamente riconosciuto un’efficacia casuale tra la mancata esecuzione di diagnosi differenziale e l’errore di valutazione compiuto dal personale sanitario e dall’altro lato, se sussista o meno un obbligo informativo da parte dei medici avente ad oggetto la possibilità di richiedere e ottenere una diagnosi differenziale (anche nell’ambito di un confronto di più professionisti) soprattutto in casi di sintomatologia non così univoca. Il lavoro di team potrebbe però divenire l’unica possibile difesa contro le pretese risarcitorie dei pazienti in tutti quei casi in cui il quadro clinico non offra al personale medico risposte assolutamente certe.

Autore: Avv. Luca Azzariti