concomitanza dei fattori di rischio

La Suprema Corte è stata chiamata a pronunciarsi sul ricorso presentato dall’amministratore di sostegno di un soggetto che, colpito una prima volta da attacco ischemico, veniva colpito da ictus emisferico sinistro con emiparesi destra, che aveva causato un’invalidità permanente dell’80%.

L’ictus era seguito all’interruzione dell’assunzione di ticlopidina, sostanza avente funzione antitrombotica, senza sostituzione del farmaco con altro che avrebbe potuto impedire la recidiva.

Sia il medico sia le aziende sanitaria e ospedaliera convenute avevano contestato – tra gli altri argomenti – la sussistenza del nesso di causalità tra la cessazione dell’assunzione del farmaco e l’ictus.

Il CTU nominato nel corso del giudizio di primo grado aveva affermato che non era possibile affermare con elevato grado di probabilità scientifica che l’assunzione del farmaco avrebbe evitato l’evento “in quanto, in pazienti con pregresso ictus ischemico, la terapia anticoagulante riduce il rischio di recidiva nella misura dell’11-15%. Altri fattori di rischio quali l’età del paziente, l’ipertensione, la colesterolemia, la comorbilità, l’inattività fisica, la politerapia farmacologica rappresentavano cause più probabili del secondo ictus. Alla luce dei risultati della consulenza tecnica, il Tribunale di primo grado respingeva le domande risarcitorie del paziente.

La Corte d’Appello confermava la sentenza di primo grado e affermava che il Tribunale, avendo correttamente applicato per l’individuazione del nesso di causalità il “criterio della preponderanza”, ossia del “più probabile che non” dell’evidenza, aveva giustamente escluso che la sospensione della somministrazione del farmaco fosse la causa della recidiva del rischio e ciò in quanto la causa poteva essere reperita, con probabilità superiore al 50%, in altri fattori di rischio.

La Corte di Cassazione, pur confermando nel merito le sentenze dei giudici di merito, chiarisce la differenza tra il criterio della “preponderanza dell’evidenza” (o probabilità prevalente) e quello del “più probabile che non”.

Il primo viene applicato quando il giudice si trova di fronte a due o più possibili (e determinate) cause di un evento dannoso e sceglie quella che abbia ricevuto maggior grado di conferma dai risultati dell’istruttoria. Nel secondo caso, non vi è confronto tra più possibili cause – fattori di rischio – bensì una valutazione degli esiti di una condotta/omissione nella prospettiva di una maggior probabilità positiva oppure negativa nella produzione di un evento.

La Corte afferma quindi che “il criterio della probabilità prevalente (o della prevalenza relativa), risulta correttamente adottato nel caso di specie, volta che, rispetto ad ogni enunciato fattuale emerso dagli atti, è stata considerata l’eventualità che esso potesse essere vero o falso, e che, accertatane la consistenza indiziaria, la soluzione adottata dalla Corte territoriale risponde ai criteri di alternativa razionale logicamente più probabile di altre ipotesi, essendo stata conseguentemente esclusa quella, oggi riproposta da parte ricorrente, fondata su elementi di fatto destinati ad attribuirle un grado di conferma “debole”, tale, cioè, da farla ritenere scarsamente credibile rispetto alle altre”.

Non essendo stato dimostrato che l’omessa somministrazione del farmaco anticoagulante fosse la causa più probabile della recidiva di ictus, la domanda del danneggiato non poteva che essere respinta. È da notare come nelle motivazioni del Tribunale la “comorbilità” appaia tra le possibili cause di cui occorre tenere conto nel giudizio di prevalenza e quindi, la sussistenza di malattie di origine virale o batterica sarà sempre considerata come possibile causa di un evento dannoso e inserita, quindi, nel giudizio di comparazione diretto a individuare, tra i diversi fattori di rischio, la causa che, con più alto grado di probabilità, avrà prodotto l’evento dannoso.

Autore: Avv. Luca Azzariti