Le cellule B, che combattono le infezioni, conservano una migliore memoria della proteina spike del coronavirus nei pazienti che si riprendono da casi meno gravi di COVID-19 rispetto a quelli che hanno superato una forma grave.
É quanto afferma uno studio dell’Università del Texas Health Science Center di San Antonio, pubblicato sulla rivista PLOS ONE.
La dottoressa Evelien Bunnik, assistente professore di microbiologia, immunologia e genetica molecolare presso UT Health San Antonio, afferma che i risultati suggeriscono sottili differenze nella qualità della risposta immunitaria in base alla gravità del COVID-19. Lo studio si è concentrato sulle cellule B della memoria, che reagiscono contro la proteina spike SARS-CoV-2. I campioni di sangue sono stati analizzati sia 1 mese sia 5 mesi dopo l’insorgenza dei sintomi. Dopo un mese, una percentuale significativa di cellule B specifiche per lo spike era attiva.
Tuttavia, i campioni di otto individui, che si sono ripresi da una malattia meno grave, hanno mostrato una maggiore espressione di marcatori associati alla memoria durevole delle cellule B rispetto agli individui che si sono ripresi da una malattia grave, evidenziano gli autori nella pubblicazione scientifica. I marcatori includono T-beta e FcRL5.
Le cellule B T-beta-positive e specifiche per lo spike sono quasi scomparse dai campioni di sangue cinque mesi dopo l’insorgenza dei sintomi; nel complesso, nei casi di malattia grave si osserva una risposta squilibrata delle cellule B.
I casi non gravi sono stati definiti come non richiedenti ossigeno supplementare o ventilazione invasiva, mentre quelli gravi hanno richiesto ventilazione meccanica invasiva o ossigenazione extracorporea a membrana (ECMO). “La definizione di malattia grave è stata fatta sulla base della necessità di ventilazione meccanica o ECMO, perché questo distingue i pazienti più critici, che hanno maggiori probabilità di sviluppare risposte immunitarie compromesse“, sottolinea l’autore senior dello studio, il prof. Thomas Patterson, Direttore di malattie infettive presso UT Health San Antonio, che guida anche l’assistenza COVID-19 presso l’University Health.
I partecipanti allo studio sono stati arruolati negli studi clinici Adaptive COVID-19 Treatment Trial (ACTT)-1 o ACTT-2. I campioni provenivano da pazienti dell’università co-iscritti al database COVID-19 di UT Health San Antonio. “L’aumento della percentuale di cellule B associata a un’immunità di lunga durata nei pazienti COVID-19 non gravi può avere conseguenze perl’immunità a lungo termine contro la reinfezione da SARS-CoV-2 o la gravità della malattia risultante“, evidenziano gli autori.
COD. HCV 22009